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Uscito a marzo 2014, in pochi avrebbero scommesso che le avventure strampalate di un portiere d’albergo e del suo tuttofare alla ricerca di un pregiato dipinto potessero sbancare le nomination degli Oscar 2015, quelle principali per giunta. Si saranno ricreduti, i detrattori, di fronte all’exploit di The Grand Budapest Hotel. Comunque andrà il prossimo 22 febbraio, nessuno potrà togliere al film di Wes Anderson la palma della più grande sorpresa di questa edizione dei premi. Nove candidature, al pari del frontrunner Birdman, tra cui “Miglior film” e svariate nomination tecniche. Nessuna menzione ai suoi interpreti è vero, ma in compenso Anderson è riuscito a conquistarsi la sua prima nomination come regista. Assolutamente meritata. Con una release così anticipata, facile che ve lo siate lasciato sfuggire. Ecco dunque tutto ciò che c’è da sapere su The Grand Budapest Hotel, per arrivare preparati alla notte delle stelle.

Un mondo colorato brulicante di nostalgia

Sullo sfondo delle suggestive atmosfere dell’Europa anni ’20, in un lussuoso hotel situato tra le Alpi (siamo nella fittizia città di Lutz, nella Repubblica di Zubrovka, ma in realtà Görlitz, al confine tra Germania e Polonia, con interni a Potsdam), si svolgono le (dis)avventure del concierge Gustave H (Ralph Fiennes), depositario dei segreti più intimi e dei desideri più sfrenati delle ricche ospiti dell’albergo. Circostanza che lo condurrà fino ad un accusa di omicidio, dando il via ad un plot contorto che coinvolge il concierge e il fidato garzone Zero Moustafa (Tony Revolori) in una serie di singolari avventure. Tra inseguimenti, assassini spietati, fughe rocambolesche, travestimenti, complotti e misteriose e super segrete sette internazionali di maître d’hotel, veniamo trascinati in una trama da thriller, che in realtà è solo un pretesto per confezionare una colorata e divertente commedia (anche un po’ romantica) dai toni fantastici e dai personaggi bizzarri tipici di quell’estetica surreale di cui il regista texano è tra i portavoce più originali. Ma questo mondo fiabesco, colorato e leggero in superficie, nasconde un retrogusto nostalgico verso un’epoca che non esiste più e un’amara riflessione sulle nefandezze di cui è capace il genere umano. Intanto però va in scena anche una profonda storia di amicizia, di lealtà e di trasmissione di ideali, puntellata dalla colonna sonora firmata da Alexandre Desplat, che quest’anno è in competizione con se stesso e la colonna sonora di The Imitation Game.

the grand budapest hotel

Ralph Fiennes, istrione carismatico in un cast all star

Che dire poi del carosello di attori fantastici, alcuni in ruoli piccoli ma necessari. Molti sono interpreti già visti qua e là nella filmografia del regista (a partire dai due pilastri: Bill Murray e Owen Wilson) altri invece alla prima collaborazione (Jude Law, F. Murray Abraham, Saoirse Ronan). Ci si diverte quasi nello scoprire, mano a mano che l’intreccio va avanti, a chi è stato assegnato quale ruolo. Ma su tutti svetta il carisma istrionico di Ralph Fiennes, al primo film con Anderson. Si getta nel ruolo del leggendario concierge Gustave H. (parte originariamente data a Johnny Depp) con zelo e precisione, dosando con equilibrio tutte le contraddizioni del personaggio. Impeccabile, meticoloso e irresistibile nel suo stravagante cappotto viola, Gustave è l’uomo insostituibile del Grand Budapest. Vanitoso, eccentrico, ha un debole per le donne attempate e ricche che lo condurrà ad una guerra per l’eredità senza esclusione di colpi. Ma è anche un uomo dotato di generosità e lealtà verso chi gli è veramente a cuore.

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Il fattore tempo

L’Academy non ha mai avuto la memoria troppo lunga, si sa. E i fatti parlano da soli: dall’inizio del nuovo secolo nessun film uscito prima di maggio è stato anche nominato, tanto meno ha vinto come “Miglior film”. L’ultimo, Il silenzio degli innocenti nel 1992, ad un anno esatto dalla sua release. Il film di Anderson è stato presentato in anteprima al Festival di Berlino nel febbraio scorso vincendo l’Orso d’Argento. Gli apprezzamenti degli influenti circoli della critica statunitense poi, lo hanno di fatto lanciato nella corsa all’Academy Awards: quattro nomination ai Golden Globe, di cui uno – “Miglior film Commedia/Musical” – vinto, dieci candidature ai BAFTA, tre Critics Choice vinti e una nomination chiave ai SAG Awards per il “Miglior cast Ensemble” (che equivale a “Miglior Film”). Pare che in questo caso il fattore tempo sia stato del tutto ininfluente, forse perchè The Grand Budapest Hotel è uno di quei film che si guarda e difficilmente si dimentica dopo i titoli di coda. La strategia messa in campo dalla casa di produzione Fox Searchlight era chiara sin dall’inizio: puntare all’attenzione del pubblico, più che ai premi. L’uscita anticipata a marzo è stata una scommessa, vinta però su ogni fronte.

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Wes Anderson: l’artefice di un successo

A livello globale, The Grand Budapest Hotel ha guadagnato 174,6 milioni dollari, più de I Tenenbaum (71 milioni nel 2001) finora il film di maggior incasso di Anderson. Autori come lui, originali, capaci di coniugare ricerca stilistica e narrativa alle logiche di mercato, a Hollywood si chiamano “Indiewood”: autori indie che sanno far soldi. Il successo però segna anche la svolta importante del regista texano verso il cinema mainstream, con la prima nomination alla regia. I suoi precedenti all’Academy annoverano infatti solo tre candidature: come “Miglior sceneggiatura originale” (Moonrise Kingdown, I Tenenbaum) e “Miglior film di animazione” (Fantastic Mr. Fox). Per il suo ottavo film Wes Anderson si è ispirato agli scritti di Stefan Zweig, strizzando anche l’occhio alle commedie sofisticate di Ernst Lubitsch, un omaggio alla Golden Age del cinema che potrebbe far breccia nel cuore dell’Academy.

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