La morte di un attore, non solo per i fan, è sempre un momento carico di tristezza e amarezza, perché noi cinefili comuni e mortali abbiamo l’inconsapevole abitudine di pensare alle star del cinema come a delle entità vagamente astratte, con una consistenza corporea diversa dalla nostra. E il sentimento di amarezza e incredulità si fa ancora più insistente quando l’attore non solo ci lascia, ma muore in circostanze particolarmente tragiche e per di più durante la produzione di un film.
L’ultimo a lasciare un grosso senso di vuoto e la curiosità di assistere alla sua “resurrezione” sugli schermi è stato Philip Seymour Hoffman, vincitore di un premio Oscar (come migliore attore protagonista per “Truman Capote – A sangue freddo”) e approdato sui lidi distopici di Hunger Games a partire dal secondo capitolo della saga.
Il regista Francis Lawrence avrebbe potuto affrontare la delicata questione in vari modi: certo sostituire l’attore sarebbe stata la scelta meno azzeccata, ma con l’ausilio della computer grafica si sarebbe potuto ottenere un risultato discreto e tutto sommato rispettoso. Ma la statura professionale dell’attore, l’affetto che tutto il cast nutriva nei suoi confronti e il timore di fare un passo che potesse essere scambiato per mossa commerciale, hanno portato a una scelta differente: Hoffman non ritorna in vita, molto semplicemente compare solo nelle scene che aveva già girato.
Una scelta coraggiosa, un bel gesto di rispetto nei confronti dell’attore, che però inevitabilmente ha in parte compromesso la trama del film. Plutarch Heavensbee avrebbe dovuto avere molto più peso nelle logiche dei giochi, e la sua presenza, per quanto fisicamente reale e non dovuta alla CGI – Computer Generated Imaginary (se non per qualche piccolissimo intervento), risulta comunque posticcia.
L’assenza di Hoffman si nota in particolar modo sul finale che sarebbe dovuto essere impreziosito da una scena chiave, carica di pathos, in cui Plutarch avrebbe dovuto avere un faccia a faccia con la protagonista. L’attore aveva già discusso al riguardo con il regista, aveva già pensato a come rendere la scena indimenticabile, ma purtroppo non ha potuto portare a compimento il suo progetto e il risultato finale è apparso molto sottotono, con Haymitch (Woody Harrelson) che riferisce a Katniss (Jennifer Lawrence) le parole dello stratega, affidate a una lettera.
Inoltre l’impossibilità di girare tutte le scene ha fatto sì che la psicologia del personaggio ne uscisse molto semplificata: Plutarch risulta molto più buono e meno ambiguo di quello che sia nel libro, dove fino alla fine non si capisce chiaramente se sia un autentico uomo della Coin (Julianne Moore) affamato di potere e vendetta, o un uomo più genuino, fiero sostenitore di Katniss e di una giustizia più pacifica e quindi anche lui insofferente per il pugno di ferro della presidentessa.
Insomma, la produzione ha fatto un bel gesto a tutelare la memoria dell’attore scegliendo la strada più scomoda e meno scontata, ma la resa filmica non è stata delle migliori e d’altra parte lo stesso regista ha affermato che gli dispiace che in questo che verrà etichettato come il suo ultimo film la presenza di Philip Seymour Hoffman sia solo marginale: “avrei voluto che il suo ruolo risultasse più importante”.
In ogni caso si prevede che “Hunger Games: Il canto della rivolta – parte II” sarà uno dei maggiori successi dell’anno, e sicuramente il fatto che veda l’ultima performance di questo grande attore è un’ulteriore attrattiva per il pubblico. La gente d’altra parte, ha un interesse atavico per la morte e tutto ciò che ne consegue. Un interesse che sfiora la morbosità e che può essere facilmente sfruttato.