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Una scena del film

Ci sono certi film in grado di toccare le corde dell’anima. E’ il caso, sicuramente, di una delle pellicole meno conosciute tra quelle candidate all’Oscar 2016 per il miglior film: si tratta di “Room”, del regista Lenny Abrahamson. Una pellicola che ha commosso il mondo, nelle sale italiane dal 3 marzo.

Il piccolo Jack non conosce nulla al di fuori della “stanza” dove è nato e cresciuto. Vive con la madre, Joy, rapita sette anni prima da un uomo mentre andava a scuola. Le uniche cose che il bambino conosce sono gli oggetti di quella stanza. Il giorno del suo quinto compleanno, Joy decide di raccontargli la verità e trovare un modo per tornare a vivere. Dopo il successo ottenuto con “Frank”, Abrahamson porta sullo schermo una complessa vicenda tratta dal romanzo “Stanza, letto, armadio e specchio” di Emma Donoghue. Il libro è ispirato a quello che è noto come “caso Fritzl”, fatto di cronaca austriaco di un padre che ha tenuto prigioniera in uno scantinato, per 24 anni, la figlia con la quale ha poi avuto sette bambini.

Dopo il trionfo al Festival del cinema di Toronto, dove si è aggiudicato l’agognato People’s Choice, Room mostra di avere tutte le carte in regola per essere uno dei casi cinematografici del 2015 – anno di uscita del film – in grado di accontentare tanto il pubblico quanto la critica. E’ candidato infatti, con merito, agli Oscar 2016 non solo come miglior film, ma anche per la miglior regia, miglior attrice protagonista, Brie Larson, migliore sceneggiatura non originale, Emma Donoghue.

In Room, il regista parte da una storia vera per parlare di rapporti umani, scegliendo di filtrarli attraverso lo sguardo inconsapevole del piccolo Jack (interpretato magistralmente dal giovanissimo Jacob Tremblay). Minuscoli particolari come l’angolo di un tavolino, una coperta, una televisione, un lavandino, un armadio, riempiono il piccolo mondo costruito da una madre per il proprio figlio. Il loro universo esclusivo si basa su un rapporto simbiotico, come se il cordone ombelicale li legasse ancora. E anche se la loro vita è scandita da rituali che cercano di sfruttare sino in fondo il piccolo spazio in cui sono costretti, in alto c’è una piccola finestra. Da questa filtrano la luce e i rumori del mondo esterno, nonchè la speranza di una nuova opportunità.

Room è un film di “spazi”, prima di tutto interiori, in cui Brie Larson si conferma una delle attrici più promettenti del momento. La sua bravura nell’interiorizzare una tragedia così grande è una dimostrazione di rara intensità dell’amore genitoriale. L’attrice, vincitrice del Golden Globe 2016 come migliore attrice protagonista in un film drammatico, ha dichiarato di essersi isolata per un mese, per ottenere la sensazione di ciò che i due protagonisti avevano attraversato. Di Room i critici hanno parlato benissimo: il Washington Post l’ha paragonato a “La vita è bella” per l’intenso rapporto fra genitore e figlio, mentre Rolling Stone ha scritto che «Room merita di essere visto senza sapere niente. Tutto quello che vi serve sapere è che le performance di Larson e Tremblay vi spazzeranno via». Tra i film candidati agli Oscar questo è il meno conosciuto, ma un episodio avvenuto durante le riprese merita di essere raccontato. Lo scenografo del film voleva che nella scena finale ci fosse la neve, idea accantonata dal fatto che l’uso della neve finta avrebbe significato superare il budget. E’ stata una sorpresa quando, nel momento di girare la scena, ha cominciato a nevicare veramente. Che sia un segno del suo fortunato destino?

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