Quattro mogli, quattro guerrre, molti incidenti, una vita che è stata come un romanzo. Un Nobel, un premio Pulitzer e venti libri tra romanzi racconti e anche poesie. Questo era Ernest Hemingway. Esattamente 53 anni fa veniva trovato morto suicida all’età di 62 anni: se ne andava uno dei più grandi scrittori della letteratura contemporanea americana.
Lui che quella vita l’aveva amata, aveva saputo starci dentro, spremerla fino all’ultima goccia, viverla con la voglia continua di superarsi e il bisogno di raccontarla ora decideva di chiudere la partita. Andava in braccio a quella morte che per tutta la vita aveva raccontato, sfidato, combattuto.
Scriveva infatti che “se uno è uno scrittore sufficientemente buono deve misurarsi ogni giorno con l’eternità o con la mancanza di essa. Per un vero scrittore ogni libro dovrebbe essere un nuovo inizio in cui osare ancora una volta qualcosa di irraggiungibile.”
Una vita che si intreccia con i personaggi dei suoi romanzi: ha i colori della Parigi degli anni venti, degli anni incredibili del jazz e i compagni scrittori della generazione perduta. Ha il sapore di polvere e sole della meseta spagnola negli anni della guerra civile, di quel popolo di cui amò il coraggio e la vigliaccheria delle corride, l’idea di libertà della causa repubblicana raccontata in “per chi suona una campana”. Una vita in cui l’attesa diventa lotta come ne ” ilvecchio e il mare“, in cui c’è tutta l’umanità della paura e la necessità di fare i conti con se stessi, di vincerla.
Mille storie, un’infinità di personaggi, una sola vita. E per raccontarla tutta una penna che ha il dono della leggerezza e dell’autenticità. E che sa stupire perchè dietro ogni pagina c’è l’uomo, gli occhi da bambino e la barba da vecchio, c’è la vita vera e vissuta con i suoi amori, il suo dolore.
Una vita che è forse il suo romanzo più bello, che ha saputo insegnare e dimostrare che la campana suona anche per te, sempre. Cinquantatre anni dopo la sua morte nei suoi romanzi Hemingway resta un genio che ha saputo guardare la realtà dal parabrezza e non dallo specchietto retrovisore, raccontando il presente ma parlando al futuro, a tutti noi. Nostro contemporaneo, nostro compagno di avventure.