Tra Accra, in Ghana, e Acerra, provincia di Napoli, c’è una piccolissima differenza. Due lettere per la precisione. E se la tecnologia inganna, capita anche che i nomi vengano confusi e che uno scambio culturale tra una scuola toscana e una africana si trasformi ‘tragicamente’ in un incontro-scontro tra Nord e Sud Italia, generando equivoci e risate a non finire. Dopo la duologia “Benvenuti a…” e il più recente “Un Boss in salotto”, Luca Miniero riprova con “La scuola più bella del mondo” (in sala da giovedì 13 novembre) a lasciare il segno in un filone ormai consolidato della commedia italiana, e della sua filmografia, ossia il confronto tra usi e costumi che da sempre dividono il Belpaese. Protagonista assoluta la coppia inedita formata da Christian De Sica e Rocco Papaleo alla cui dirompente comicità si affianca una divertente Angela Finocchiaro, Miriam Leone, con un personaggio che richiama la Boschi, Nicola Rignanese, Lello Arena e Ubaldo Pantani,perfetto nel ruolo del politico cialtrone di sinistra, e un gruppo di irresistibili ragazzini, scelti tra 4mila piccoli attori, la vera anima del film.
De Sica è Filippo Brogi, il preside puntiglioso e competitivo di una rispettabile scuola media di San Quirico d’Orcia che, determinato a riconquistare la Coppa di Scuola dell’Anno, organizza un gemellaggio con gli studenti poveri di una scuola ghanese, aiutato dall’efficiente professoressa di inglese Margherita Rivolta (Miriam Leone). L’invito però, per colpa di una tecnologia troppo evoluta per il maldestro bidello Soreda (Nicola Rignanese), non arriva ad Accra ma a una scuola “sgarrupata” di Acerra dove tutto sembra andare in pezzi, persino l’aula professori – collocata nei bagni – da dove il preside Moscariello (Lello Arena) chiede aiuto a Napolitano per fermare il degrado dilagante. Così nella terra di Dante e Boccaccio, accolta dagli striscioni “Benvenuta Africa” e dalle note di “Bongo Bongo”, giunge una scalmanata e indisciplinata classe di scugnizzi napoletani accompagnati dal professore Gerardo Gergale (Rocco Papaleo), cuffie in testa, eccentrici metodi scolastici e un odio profondo verso “il Nord che inizia sopra Mondragone”, e la collega Wanda Pacini (Angela Finocchiaro), ormai rassegnata ai congiuntivi sbagliati e inviperita con la sua vecchia fiamma Brogi. Le conseguenze dell’equivoco saranno esilaranti e tutt’altro che idilliache. Tra botte, sfottò, e colpi di fulmine avviene il vero gemellaggio tra studenti ma anche, e soprattutto, tra insegnanti.
Un altro incontro tra nord e sud d’Italia dicevamo. Un’altra partita tra stereotipi e cliché regionali giocata a suon di gag e risate, ma questa volta sul terreno della scuola. Che lo sappiamo, nei film funziona sempre. E funziona ancora di più se una scuola colorata e disordinata del sud, con un professore svogliato e rassegnato, si scontra con il mondo perfetto del centro-nord. Così l’idea di Luca Miniero, scritta assieme a Massimo Gaudioso e a Daniela Gambaro, sembra quasi un “Benvenuti al Centro” con più di un richiamo a “Io speriamo che me la cavo”. Il debito al film del 1992, diretto da Lina Wertmuller, è evidente. Perché in fondo il divario tra il sud povero e il nord ricco anche qui non è che un pretesto per raccontare altro: l’Italia di oggi attraverso la scuola che è un po’ lo specchio della nostra società. Un’istituzione fin troppo maltrattata da tagli insensati e riforme insufficienti che aggravano i problemi invece di risolverli. Il risultato, al sud come al nord, è una classe docente trascurata e demotivata. Eppure c’è chi come il preside Moscariello (uno straordinario Lello Arena) invece di piangersi addosso prova a rialzarsi, perché è dai singoli che nasce la speranza che qualcosa possa migliorare, anche se poi alla fine niente cambia nella sua scuola.
Questo il messaggio dolce-amaro che Miniero vuole raccontare affidandosi al suo “tocco magico”, ossia quella capacità di fare un cinema popolare in grado di parlare con leggerezza anche di temi seri. Gli perdoniamo qualche esagerazione fuori luogo, dal pulman fin troppo “vintage” al solito stereotipo dei napoletani ladri e scostumati, perché con “La scuola più bella del mondo” riesce a fare un ulteriore passo in avanti laddove sgancia questa commedia politically incorrect dal realismo svecchiandola con questo suo mix intrigante di linguaggi differenti. C’è l’elemento musical, ma anche quello innovativo dei fumetti (disegnati e animati da Arturo Smeriglia) e una colonna sonora irresistibile trainata dai 99 Posse (“Curre curre guagliò”) e da Nico e i suoi desideri (“Made in Napoli”) che strizza l’occhio al pubblico più giovane. La direzione che segue Miniero è quella di una favola di formazione piacevole da guardare e piena di cose su cui riflettere: il viaggio come metafora di crescita soprattutto. Dopo il viaggio al “Nord” c’è qualcosa di diverso negli insegnanti e nei ragazzi. Perché certi viaggi, nel bene e nel male la vita ce la cambiano. E forse non è un caso che la dedica iniziale sia proprio per gli undici fiori del Melarancio, gli undici studenti della scuola Nicolardi di Napoli che da quel viaggio verso il lago di Garda non tornarono più.