Tante sono le leggende che accompagnano la nascita del famoso cocktail Martini: c’è chi dice che nel 1860 Jeremy Thomas, americano e autore della prima guida di cocktail, miscelò in un bar di San Francisco gin e vermouth, servendoli a un viaggiatore diretto a Martinez, California; c’è chi sostiene invece che ad inventare il primo Martini, fu un barman di Arma di Taggia che, nel 1910, lo battezzò col proprio nome e lo offrì al milionario John D. Rockefeller in un hotel di New York.
Quel che è certo è che questo semplice cocktail è divenuto il compagno di tante personalità di spicco del ‘900, segnando un’intera epoca: scrittori da Ernest Hemingway a Truman Capote, che lo definì “pallottola d’argento“; divi del cinema come Humphrey Bogart e l’indimenticabile Vodka Martini “agitato, non mescolato” di James Bond; Roosevelt e Krusciov ne andavano matti.
Partendo da queste bevute leggendarie, nasce “Martini Eden” edita da Nutrimenti, raccolta di sei racconti curati da Carolina Cutolo, già autrice cult di “Pornoromantica” e “Romanticidio“, ma soprattutto bartender professionista e barman da nove anni.
Autori dei racconti, sei scrittori dalla forte identità stilistica, tutti bevitori, rari intenditori e amanti abituali del famoso mix di gin e vermouth: Filippo Bologna, Gianfranco Calligarich, Sapo Matteucci, Massimo Morasso, Filippo Tuena e la stessa Carolina Cutolo.
Tutte le short story raccontano la personalissima ricetta preferita dall’autore, a cornice del mondo letterario costruito tre le pagine: per esempio per Filippo Tuena, che scrive di marito e moglie che si ritrovano a casa dopo un misterioso viaggio di lui, il Martini “è la bevanda dell’intimità. In questo è come la lettura. Ti trasporta in una dimensione rilassata. Gli happy hour di adesso, invece, sono fagocitanti. Con tutte quelle persone che bevono e riempiono i piatti di pasta. Il Martini è un’altra cosa: lo sorseggi, ci mangi poco. Attenzione, se sei nervoso o agitato, non viene bene. Io lo preparo alle sette e mezzo di sera, quasi tutti i giorni, e lo bevo con mia moglie. Ci aggiungo il pepe nero: gli dà quel tono un po’ tabaccoso che funziona molto bene.”
Questa elegante raccolta alcolica vuole essere un divertente espediente per evadere dal modo decadente di intendere l’esperienza al bar dei nostri giorni, cercando di avvicinare il lettore invece ad una degustazione più raffinata, affascinante ed intima; così come ci vuole suggerire la Cutolo con le sue parole: “L’assurdo è che si chiedono sempre i soliti: negroni, mojito o il long island ice tea, che è un mischione terribile molto alla moda: pieno di alcol, ma senza senso. Si ignora che ogni cocktail ha la sua storia, che nasconde anche il motivo della sua composizione. Il drink è diventato solo strumento di sbronza. Ormai sorseggiare Martini significa condividere un’intimità culturale in cui ci si riconosce tra pochi.”