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Mister Morgan affronta le vicende di un anziano professore (Michael Caine) che dopo la morte della moglie presenta ricorrenti manie suicide e casualmente incontra su un bus a Parigi Pauline, che è una giovane insegnante di danza piena di ottimismo. Cinquant’anni di differenza separano le loro vite ma, accomunati dalla stessa solitudine, i due sviluppano una singolare amicizia. In questo rapporto, il ricordo di persone scomparse crea un forte legame, infatti la barba di Morgan ricorda a Pauline quella del padre defunto, i capelli di lei gli rammentano quelli della moglie (Jane Alexander in alcuni flashback dal carattere fortemente onirico).

Ed è quasi lo stato di sopore di Morgan, tramite cui si estrinseca il suo sentirsi inadeguato in questa fase della sua vita, che rende Michael Caine in grado di interpretare un ruolo essenziale, in cui più che le battute, saranno le inquadrature a catturare lo spettatore. Da qui anche la scelta di una bellezza così particolare per il ruolo di Pauline, magnetica ed enigmatica, che si confà a Clemence Poesy.
La vicenda subisce una svolta imprevista quando Morgan tenterà il suicidio e giungeranno i suoi figli, incapaci di comprendere la sua sofferenza e disposti subito a fraintendere l’amicizia del padre con Pauline.

Mister Morgan non è una produzione americana, ma europea, eppure sembra così distante il cinema italiano nella sua scarsa capacità di parlare di uomini soli, anziani e sconfitti. Se il fine vita è entrato nel nostro dibattito cinematografico (vedasi Miele o Bella addormentata), latita ancora il racconto sul l’autunno della vita.

In quanto al livello del film, nel complesso non si raggiungono delle vette, ma la buona prova dei due protagonisti e di Michael Caine in particolare, rende questo dramedy assolutamente godibile.

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