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Ci è mancato un soffio. Al Kodak Theatre, in milioni attendevano che la voce di Patricia Arquette pronunciasse un nome e un cognome che fino a un anno fa sarebbero risultati cacofonici se accostati alla cerimonia degli Oscar: Sylvester Stallone. La memorabile performance di Mark Rylance ne Il ponte delle spie ha però spezzato quel sogno così assurdo eppure così suggestivo, quello di un’ex icona del rozzo cinema action 80’s arrivata a quasi 70 anni a un passo da una statuetta che sarebbe stata coronamento di un percorso ultraquarantennale. Nella vittoria mancata di Sly, dato per favorito sino a poco prima della cerimonia, c’era tuttavia poco di casuale, perché nel rimettere i panni del personaggio che gli ha regalato imperitura fama, Rocky Balboa, Stallone ci ha messo tutto sé stesso.

Sylvester Gardenzio Stallone, figlio di Frank, immigrato di origini pugliesi, e Jacqueline Labofish capisce sin da subito che la vita a Hell’s Kitchen, il suo quartiere, è durissima, ma non è solo quello: Silvestro (chiamato come il nonno) soffre, per un incidente durante il parto, la leggera paresi del lato sinistro del volto, è vittima di disturbi ossei (una forma di rachitismo) e la madre, schiava dell’alcol, se ne va di casa. Nonostante i problemi fisici però, è proprio lo sport che salva il piccolo Sly: due borse di studio, ottenute entrambe per meriti sportivi, gli permettono di frequentare prima l’American College in Svizzera, poi la University of Miami in Florida, dove studia arte drammatica.

Alla fine degli anni ’60, il giovane Sylvester prende parte a qualche spettacolo ai margini di Broadway e di lì a poco, nel 1970, avviene l’esordio sul grande schermo: è un film a luci rosse quello che ospita il debutto al cinema di Stallone. In un film intitolato in origine The Party at Kitty and Stud’s, poi rimandato nelle sale, dopo il successo del ’76 di Rocky, come Italian Stallion, con un filo di perfido tempismo della casa di distribuzione.

Nei panni di 'Rambo' (1982)
Nei panni di ‘Rambo’ (1982)

La svolta, come si è capito da circa 40 anni, avviene nel 1975, quando lo squattrinato e sgangherato ma volenteroso Sly assiste all’incontro di boxe tra Muhammad Alì e Chuck Wepner, il sanguinolento di Bayonne. Il match è totalmente a senso unico, dominato da Cassius Clay, l’oustider Wepner resiste però stoicamente fino all’ultima ripresa, dando quindi a Stallone l’idea che porterà al personaggio di Rocky. Il film, ideato e sceneggiato dal non ancora trentenne Stallone e girato da John G. Avildsen è un successo istantaneo, guadagna oltre 200 milioni di dollari in tutto il mondo e vince anche tre Oscar. Stallone viene nominato sia come miglior attore protagonista sia per la sceneggiatura originale: prima di lui, era capitato solo a Orson Welles e Charlie Chaplin.

Segue un periodo di altri successi commerciali e una nuova strada tentata, quella dietro la macchina da presa, con Taverna Paradiso e Staying Alive, sequel de La febbre del sabato sera. Arrivano anche altri due sequel di Rocky, ma prima di diventare schiavo del personaggio, Stallone si mette la leggendaria bandana intorno al capo e si trasforma in Rambo. Il film, uscito lo stesso anno di Rocky III (1982), ha sin da subito un buon successo ma diverrà soprattutto nel periodo successivo un cult, ai livelli della saga sul pugile italoamericano, e nonostante due sequel (tre, se si conta l’operazione-nostalgia del 2008) non all’altezza.

Sylvester e Sage Stallone sul set di 'Rocky V', 1990 (Allstar/Cinetext/UNITED ARTISTS)
Sylvester e Sage Stallone sul set di ‘Rocky V’, 1990
(Allstar/Cinetext/UNITED ARTISTS)

Da lì in poi Sly diviene garanzia asoluta del cinema action a stelle e strisce e passa da Cobra a Over the top, da Cliffhanger a Dredd – La legge sono io, concedendosi anche un ritorno dei panni di Rocky (il quarto, 1985) e una performance di qualità in Copland (1997). Nel 1990 gira pure il quinto capitolo di Rocky, insieme al vero pugile Tommy Morrison e al figlio, Sage Stallone. Che nel 2012, all’età di 36 anni, viene trovato morto nella sua abitazione di Studio City, a Los Angeles. Abuso di droga, si ipotizzò immediatamente, ma l’autopsia rivelò che nel corpo di Sage non c’era la minima traccia di sostanze stupefacenti, a stroncarlo era stato un naturale arresto cardiaco.

Questa perdita straziante si farà sentire per il resto della nostra vita, dichiara Sly. “Sage è stato il nostro primo figlio e il centro del nostro universo e sto chiedendo umilmente a tutti di lasciare in piena pace la memoria di mio figlio“. Stallone però si rialza e, dopo i duetti con Schwarzenegger (Escape Plan) e De Niro (Il grande match), viene contattato dal non ancora trentenne (chi vi ricorda?) Ryan Coogler, per un ultimo clamoroso colpo di coda: ritornare Rocky Balboa. Il resto è storia, che per un soffio non è diventata leggenda. Va bene così, Sly.

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