Eddie Vedder e tutti i componenti dei Pearl Jam, si sa, non si tirano mai indietro quando si tratta di impegnarsi nel sociale o di prender posizione in qualsivoglia causa, anche andando contro i cosiddetti “poteri forti”. E’ successo nuovamente qualche giorno fa: il frontman della band di Seattle si è espresso, in occasione del concerto dell’11 Luglio a Milton Keynes, in Inghilterra, senza giri di parole, contro i fatti, terribili, che si stanno verificando proprio in queste ore nella Striscia di Gaza. A seguito delle dure critiche ricevute, il cantante dei Pearl Jam, nel concerto del 18 luglio a Meco, Portogallo, ha voluto chiarire ulteriormente la propria posizione attraverso il mezzo che gli è più congeniale, la musica, cantando il brano pacifista per eccellenza: Imagine di John Lennon.
Il discorso del concerto inglese, per quanto non fosse espressamente riferito al conflitto israelo-palestinese, aveva ricevuto dure critiche da parte dei media dell’area geografica interessata, come ad esempio dal Jerusalem Post, che ha bollato le parole del cantante come “anti-israeliane“, o dal dj radiofonico Ben Red, che in passato si era profuso in campagne per portare i Pearl Jam a suonare in Israele.
L’artista, proprio nel concerto del 18 luglio in Portogallo, piuttosto che tornare sui propri passi, ribadisce il concetto, e mette in musica le proprie opinioni, eseguendo, in solo, Imagine, dopo aver spiegato il motivo della scelta del pezzo di John Lennon: «Credo che sia la canzone più potente di sempre, e per questo non l’ho mai suonata. Mi sembra che forse ci sia una ragione per suonarla adesso»
E si serve della canzone anche in un’altra occasione: per dissipare ogni dubbio sulla propria posizione in questa faccenda, Vedder ha pubblicato sul sito internet della band, poi diffuso attraverso tutti i canali social ufficiali, un lungo messaggio chiarificatore, nel quale prende in prestito le parole di Imagine per esprimersi al meglio:
«Pensa un po’ – sono ancora contro la guerra.
Molti di noi hanno sentito John Lennon cantare:
“puoi dire che sono un sognatore ma non sono l’unico”
E alcuni di noi, dopo l’ennesima dose mattutina di news piene di morte e distruzione, sentono la necessità di cercare qualcuno per vedere se non siamo soli nel nostro sdegno. Con almeno una dozzina di conflitti in corso che appaiono ogni giorno nelle notizie, e con le storie che diventano sempre più terrificanti, il livello di tristezza diventa insopportabile. Cosa diventa il nostro pianeta quando la tristezza si trasforma in apatia? Perché ci sentiamo senza aiuto. E giriamo la testa e giriamo la pagina.
Attualmente, sono pieno di speranza. Questa speranza sboccia dalla moltitudine di persone per cui la nostra band ha avuto la fortuna di suonare sera dopo sera qui in Europa. Vedere bandiere di nazioni differenti, e avere queste folle enormi che si radunano in pace e gioia è l’ispirazione migliore per le parole che sento la necessità empatica di pronunciare. Quando cerchiamo di lanciare un appello per la pace nel mondo durante un concerto rock, stiamo esprimendo i sentimenti di tutti coloro che sono entrati in contatto con noi, in modo da poterci comprendere al meglio.
Non è qualcosa che smetterò di fare presto. Chiamatemi naif, ma preferisco essere naif, sincero e speranzoso che non dire nulla per paura di incomprensioni o punizioni.
La maggior parte degli uomini su questo pianeta è più consumata dalla ricerca di amore, salute, famiglia, cibo e benessere che da ogni tipo di guerra.
La guerra fa male. Fa male e non importa su quale lato cadano le bombe.
Con tutte le conquiste globali nella moderna tecnologia, comunicazione avanzata e sistemi di informazione che decodificano il genoma umano, i rover vanno su Marte eccetera… dobbiamo davvero rassegnarci alla realtà devastante che un conflitto sarà risolto con bombe, omicidi e atti di barbarie?
Siamo una specie importante, in grado di creare bellezza, capace di progressi maestosi. Dobbiamo essere in grado di risolvere conflitti senza spargimento di sangue.
Non so come conciliare l’arcobaleno pacifico delle bandiere che vediamo ogni sera ai nostri concerti con le notizie quotidiane di conflitti globali e delle loro orribili conseguenze. Non so come affrontare questa sensazione di colpa e complicità quando sento delle morti di famiglie di civili per colpa dell’attacco di un drone statunitense. Ma so che non possiamo far sì che la stanchezza si trasformi in apatia. E so che siamo molto meglio quando apriamo un dialogo con gli altri.
“Spero che un giorno ti unirai a noi”
Non ascolterete quel che ha detto quest’uomo?
-Eddie»