Pelé, leggenda del calcio, torna ad emozionarci e a calcare il campo.. Al cinema. Abbiamo visto in anteprima il film diretto dai fratelli Jeff e Michael Zimbalist (che uscirà nelle sale il 26 maggio) incentrato sulla vita del calciatore prima che diventasse il mito che tutti conosciamo.
Edson Arantes Do Nascimento (soprannominato Dico) nasce e cresce in un povero villaggio brasiliano, Bauru, sviluppando fin da bambino una viscerale passione per il calcio: gioca con gli amici per le strade del paese, scalzo, con un pallone fatto di stracci, la gioia e la passione profusa nel rincorrere quell’oggetto tondo e colorato sono sufficienti a scacciare la tristezza della miseria.
Sconvolto dopo la devastante sconfitta della nazionale brasiliana ai mondiali del 1950, Dico, che ha solo 9 anni, promette al padre (l’ex attaccante Dondinho, costretto a lasciare la carriera per un infortunio al ginocchio) che un giorno riuscirà a portare il Brasile alla vittoria. “Pelè” è anche la storia di un soprannome, usato prima con tono dispregiativo da José Altafini e i suoi amici, per deridere l’errore di pronuncia di Dico (il nome del calciatore cui voleva riferirsi era Bilé), diventato poi simbolo di riscatto, gridato a squarciagola dalla gente che osserva estasiata il gioco fluido e appassionato del giovane Do Nascimento. Fra questi anche l’osservatore calcistico Waldemar de Brito, che dà al giovane la possibilità di giocare per il Santos FC.
Qui, dopo un’iniziale costrizione a schemi di gioco “tradizionali” fa la sua ricomparsa l’unico vero co-protagonista del film: il gioco del calcio nella sua “variante” brasiliana più autentica, la Ginga, lo spirito ancestrale del popolo brasiliano espresso per anni nell’arte della capoheira e poi traslato nello sport.
Pelé inizia quindi la sua scalata verso il mito: visti i suoi successi nel Santos, a soli 16 anni, viene convocato per i mondiali che si terranno il Svezia. Il Brasile, scottato dalla sconfitta del 1950 ha cercato negli ultimi anni di evitare questo stile di gioco selvaggio, ispirandosi alla razionalità degli schemi tattici europei. Ma Brasile è gioia, emozione, spontaneità, e anche il mister Feola, dopo una iniziale ritrosia, si rende conto della necessità del popolo brasiliano di esprimere se stesso. “Pelé” è un film che racconta anche la ricerca di identità di un’intera squadra, nonché di un intero popolo che abbattuto dalla sconfitta aveva provato a cambiare se stesso: abbandonato ogni schema, i giocatori si lasciano pervadere dalla Ginga, da quello spirito atavico che non possono soffocare, recuperano la loro storia e la loro anima, giocano il loro “bel gioco” e guadagnano la vittoria. Nel giugno 1958 il Brasile e Pelé vincono il loro primo mondiale.
“Pelé” è un film che esalta il calciatore e attraverso di lui celebra il calcio di un tempo, gioco autentico fatto con il cuore, non ancora contaminato da altri interessi, un gioco che consentiva di esprimere se stessi e regalare emozioni, emozioni che rivivono sullo schermo grazie a sequenze che delineano chiaramente lo sregolato genio calcistico di Pelé attraverso le sue acrobazie (pur con qualche fermo immagine eccessivo, che richiama inevitabilmente certe scene di Matrix), un film che intreccia momenti di rivalità e sofferenza a momenti di gioia e sostegno familiare, un film che sa regalare il brivido di un gioco autentico e sincero, il gioco più bello del mondo.
[Foto: Imagine Entertainment]