Si è fatto attendere Pif a Giffoni. In ritardo sulla tabella di marcia, il pluripremiato regista esordiente di La Mafia uccide solo d’Estate viene però accolto con un’ovazione dei ragazzi delle giurie della 44esima edizione del Giffoni Experience. “Devo venire più spesso a Giffoni, fa bene all’ego”, commenta Pierfrancesco Diliberto davanti all’entusiasmo in una sala Truffaut gremita all’inverosimile. Le scene più amate e quelle più difficili da girare, le ispirazioni cinematografiche, gli studi, come vive il successo. Le curiosità dei ragazzi sono tante e Pif non si risparmia, rispondendo a tutti con il suo solito umorismo e la sua solita pacatezza. “Mi aspettavo che mi chiedessero com’è stato baciare la Capotondi” scherza Pif di fronte al fuoco di domande dei ragazzi che sembrano aver particolarmente apprezzato la sua opera prima.
“Il film è nato perché trasferendomi a Milano e chiedendomi tutti della Mafia ho capito che molti italiani hanno ancora l’immagine di Riina, con il fucile e la coppola, non quelli della ‘Mafia bene’, alla Bontade”. Ma la paura più grande era la reazione dei suoi concittadini: “Temevo la reazione dei palermitani, perché non ne usciamo proprio benissimo, se non per lo scatto d’orgoglio finale. Ma mi sembra che sia andato bene poi. È stata una sorta di autoanalisi che noi palermitani forse non abbiamo mai fatto”. Eppure La Mafia uccide d’Estate è un film che colpisce, in positivo come dimostrano i due David e i tre Nastri d’argento che il film ha vinto, senza contare le critiche positive dei giornalisti e l’apprezzamento del pubblico. Un risultato eccezionale portato a casa però non senza preoccupazioni. “Andavo in paranoia per girare i dettagli” confessa Pif, che rivela anche di aver perso il sonno per quella che forse è la sua scena preferita: quella del funerale di Dalla Chiesa e della scorta di Borsellino, girata mixando girato e immagini di repertorio. “Per settimane non ho dormito temendo che non si mixassero bene. E invece penso che sia venuta benissimo, considerati i mezzi a disposizione”. L’applauso vigoroso è una conferma.
A chi gli chiede se il successo del film l’ha cambiato, lui dice: “Mi rendo conto che prima nessuno mi ‘considerava’ (censurando il termine decisamente meno ‘colloquiale’ di quello usato sul palco) e che invece oggi sto attento a togliermi la forfora dalle spalle e a provare a stirarmi le camicie, anche se non tocco un ferro dai tempi di ‘Papa don’t preach’ di Madonna”. Ma al di là di questioni puramente estetiche il vero problema Pif ce l’ha con la tv e con le sue incursioni per Il Testimone: “Un tempo andavo in giro io con la mia telecamerina e la gente parlava con me molto più liberamente. Adesso… non dico che sono come Belen, però il rischio di montarsi la testa ci sono, esistono tutti i presupposti per farlo”. Un rischio da scongiurare mantenendo quella naturalezza e spontaneità che lo contraddistingue da sempre, anche nel suo secondo film, a breve sul set tanto da promettere: “Il prossimo anno vengo qui a presentare il mio nuovo film. Giffoni è un posto incredibile!”.
Sul finale una riflessione sulla mafia rivolta alle nuove generazioni: “Abbiamo aspettato due stragi incredibili e violente come quelle prima di arrabbiarci: arrabbiamoci un po’ prima, non deve scapparci il morto prima di indignarsi. La ribellione del palermitano doveva iniziare forse già con Boris Giuliano. La mia generazione ha dovuto aspettare la morte di qualcuno per capire che era un eroe, vi invito a individuare i vostri eroi prima che sia la Mafia a indicarveli”.