L’incipit di PPZ – Pride + Prejudice + Zombies “È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno zombie in possesso di un cervello debba essere in cerca di altro cervello” un tempo fu il ben più evocativo “È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie”. Ma tant’è, i tempi cambiano anche in maniera retroattiva e ci troviamo quindi in Inghilterra nel XIX secolo, paese invaso dai non morti che seminano il terrore e soprattutto stravolgono le raffinate usanze vittoriane.
La bucolica campagna inglese si è trasformata, aleggia lo spettro del contagio, ma rispetto alla città mantiene ancora una parvenza di ordine e decoro. In questa campagna-rifugio di decameroniana memoria (in fin dei conti che differenza c’è fra un’epidemia zombie e la peste?) vive la famiglia Bennet: madre, padre e cinque figlie da maritare. Questo preambolo vi ricorda qualcosa? Se la risposta è negativa, prima di continuare a leggere procuratevi una copia di “Orgoglio e Pregiudizio”, o per lo meno fate un salto su Wikipedia. Poi tornate qui e sorbitevi la recensione di uno dei film più controversi dell’attuale stagione cinematografica: PPZ – Pride + Prejudice + Zombies.
Molti hanno pensato che il connubio “Orgoglio e Pregiudizio” e zombies avesse tutti i crismi della blasfemia. Ma chi scrive, avendo a suo tempo letto il capolavoro di Jane Austen e avendone tratto insegnamento, il 2 febbraio ha deciso di recarsi all’anteprima del film libera da qualsiasi preconcetto, pronta a ricredersi e ad abbracciare con entusiasmo il successo di un prodotto che sulla carta ha inevitabilmente il sapore del commerciale. Peccato non sia successo.
Che PPZ sia l’ultima rivisitazione del classico di Jane Austen è ormai chiaro, forse meno noto è il fatto che sia basato su un altro libro, il best-seller di Seth Grahame-Smith “Orgoglio e pregiudizio e zombie”, un fenomeno editoriale per mesi in testa alle classifiche del New York Times e tradotto in oltre 20 paesi. Certo il confronto con il capolavoro della Austen non è nemmeno concepibile, ma d’altra parte non era questa la pretesa dell’autore che intervistato dal Time ha spiegato di non aver voluto stravolgere la struttura originale e di essersi limitato a introdurre il divertimento del man VS zombies al fascino di una storia d’amore senza tempo: “Chi sono io per rovinare uno dei romanzi meglio concepiti di tutti i tempi?”
Ecco, forse (non avendo letto il romanzo gli lasciamo il beneficio del dubbio) Seth Grahame-Smith non ha avuto cuore di rovinare “Orgoglio e Pregiudizio”, ma evidentemente lo stesso scrupolo di coscienza non è sovvenuto ad altri. Lo scopo del regista Burr Steer era, in linea con l’opera dello scrittore, quello di non stravolgere il romanzo originale offrendo però la possibilità di gustarlo in chiave diversa. L’esito è però quello di un film che appunto non dice niente di nuovo (sarà banale ribadirlo ma tutto, in termini di trama e temi, è già stato detto magistralmente dalla Austen) e non dà nulla di più neanche nelle modalità di fruizione della narrazione narrativo, che poi è l’unico aspetto sul quale avrebbe potuto fare gioco.
PPZ sarebbe stato un film riuscito se avesse esasperato la componente splatter o demenziale, invece buca inesorabilmente lo schema dell’autoironia e ha indubbiamente la presunzione di voler passare per un film serio, se tralasciamo qualche vago sprazzo di black humour (esemplare in questo senso l’introduzione della altera e autoritaria lady Catherine de Bourgh (Lena Headey) in un’apparizione lampo di qualche secondo: il suo pupillo Collins è intento a raccontare le virtù della sua benefattrice circondato da tazze di tè e biscotti, la nomina ed ecco che la lady appare maestosa, piede calcato su una pila di zombie, benda sull’occhio, due spade nelle mani, avvolta da tuoni e fulmini.)
Certo bisogna riconoscere che i romanzi di Jane Austen hanno già ispirato innumerevoli adattamenti cinematografici e probabilmente molti si sarebbero stufati di vedere l’ennesima trasposizione in costume di minimo tre ore di durata, ma PPZ non è la risposta adeguata: la risposta giusta sarebbe stata non farne un altro.
“Orgoglio e pregiudizio” è un’opera di denuncia sociale, in “PPZ – Pride + Prejudice + Zombies” le stesse tematiche vengono riprese e calate in un contesto straniante e straniato che però non porta da nessuna parte (la stratificazione sociale di epoca vittoriana e stata traslata nel “mondo zombie”: abbiamo non-morti aristocratici e non-morti proletari. Ci credete?).
Non si tratta nemmeno di uno scempio ma di un prodotto assolutamente deludente e inconcludente: avrebbero potuto investire in una sola direzione e fare un buon lavoro, invece hanno cercato di accontentare tutti finendo per non accontentare nessuno. PPZ vuole abbracciare tanti generi diversi ma non ne incarna nemmeno uno: non è horror, non è pulp, non è commedia e non riesce neanche ad essere stupido per esser stupido. Non fa paura, non crea ribrezzo, non ci sono scannamenti soddisfacenti, le teste degli zombie vengono fatte esplodere da colpi di pistola a mo’ di petardo (suscitando un misto di imbarazzo e ilarità spiccia) non ci sono carcasse davvero putrescenti e anche i “combattimenti” si risolvono troppo velocemente: tanto allenamento shaolin per niente.
Potrebbe almeno risultare digeribile se solo si accontentasse di fare quello che dovrebbe fare: ridere. Ma non si impegna neanche in questo e non fa ridere se non per qualche battuta estemporanea e frivola della signora Bennet (Sally Phillips) e per la caratterizzazione particolare del pastore Collins: anche dal punto di vista recitativo l’unica interpretazione davvero degna di nota è proprio quella di Matt Smith che è riuscito a trasformare quello che dalla Austen viene descritto come “un misto di superbia e servilismo, di boria e bassa umiltà” in un personaggio simpatico, espressivo, a tratti pedante e affettato ma capace di regalare con freschezza e senza forzature qualche onesta risata. E non stupisce che la caratterizzazione del personaggio sia tutto merito dell’attore, invitato (deo gratia) dal regista ad improvvisare svincolandosi dalla sceneggiatura.
E per finire come non parlare della tanto osannata riscossa del girl power? Sì le sorelle Bennet si sono addestrate nelle arti marziali per abbattere orde di zombie, sì salvano i maschietti (e vengono anche salvate), ma Elizabeth è chiaramente un personaggio molto più rivoluzionario nel romanzo della Austen. Vi spiego perché: la scrittrice nel 1813 ha dato vita a una giovane donna in largo anticipo sui tempi, razionale e indipendente ma anche sensibile, decisa a non sacrificare la propria felicità al “buon senso” di classe; invece nel 2016 la donzella picchiatrice, carismatica e agguerrita sa molto di luogo comune trito e ritrito, per di più se accompagnato da inquadrature forzate su petto e nivee cosce. In barba alle femministe.
Per quanto riguarda la trama ovviamente è pressoché invariata, quindi se si conosce un minimo quella originale tutto diventa estremamente prevedibile. E banale. E il romanticismo che il regista voleva salvaguardare? Cerca di sbocciare ma viene abortito sul nascere e ulteriormente martoriato da un montaggio nevrotico che stronca ogni scena dotata di un potenziale pathos (il tanto atteso bacio fra Liz (Lily James) e samurai-Darcy (Sam Riley), ben lungi dal darvi un brivido, vi farà scattare lo sbadiglio).
Un film insulso e presuntuoso che non volendosi fare parodia di un classico ha finito per diventare parodia di se stesso. Non resta che augurarsi che la Austen si rivolti per davvero nella proverbiale tomba e vada a vendicarsi, sicuramente ne verrebbe fuori un film più appassionante.