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Abbiamo sognato.
Con note, parole e immagini. Con un cielo pieno di stelle. Come quelle che hanno popolato la notte degli Oscar: più che per il Leo senza statuetta e la bellezza d’ebano di Lupita Nyong’o, il mondo la ricorderà per una foto – anzi, per un selfie – da record. Era stata, prevedibilmente, una trovata pubblicitaria: ma a chi importa? Noi, invece, che siamo un po’ più sentimentali, la incastoneremo nella memoria per la grande bellezza di un riconoscimento che ci mancava da sedici anni.

Abbiamo ballato.
Come al solito, più del solito: col professor David Guetta, col sempre più tamarro (e sempre più virale) Calvin Harris, coi remix della sorpresa Robin Schulz e col redivivo Enrique Iglesias. Ma anche grazie all’improponibile Anaconda della dimagrita Nicki Minaj, alle perle dell’alieno Avicii, all’onnipresente Pitbull e alle nuove popstar: Iggy Azalea, Ariana Grande, Charli XCX.

Abbiamo cantato.
Coi grandi ritorni: Vasco, Liga, Gianna, Jovanotti, Ferro, Madonna. Con Renga, Cremonini, Mengoni, che si consacrano nel ruolo di guida del cantautorato nostrano. Con Alessandra Amoroso, Emma, Deborah Iurato e un Lorenzo Fragola, al comando di una squadra di talenti. Chi ha detto che i talent sono alla frutta? È stato poi l’anno dei Coldplay – più che dei vituperati U2 –, del maestoso John Legend, di quella rottura di scatole di Happy, di Maracanã e di Let it go. Dei One Direction ma anche dei loro sfidanti, i 5 Seconds of Summer.

Ci siamo divertiti.
La Cortellesi insieme a Raoul Bova, Verdone, Papaleo, Smetto quando voglio, Ficarra e Picone e il ritorno di Aldo Giovanni e Giacomo. I soliti Zelig, Colorado e Made in Sud. Con una suora che canta Like a Virgin, coi talenti camaleontici di Valerio Scanu e Serena Rossi e una donna barbuta canterina. E i cinecomic, sempre più dominanti, coi Guardiani della Galassia, col nuovo 300 e un Sin City completamente retto da Eva Green.

Ci siamo innamorati.
Del talento sterminato di Stromae (grande pregio di un Sanremo 2014 non indimenticabile), dell’ironica verve di Meghan Trainor, della poesia ingenua di Colpa delle stelle e del film di una vita, Boyhood. Ma anche del ritorno interstellare di Christopher Nolan, della storia d’amore tra Joaquin Phoenix e un sistema operativo e delle Storie Mondiali raccontateci nei sabato sera primaverili da un distinto signore.

Abbiamo scoperto.
Nomi impronunciabili (Kiesza), un’improbabile ma efficace band di fratelli (Sheppard) ma anche Clean Bandit, Sia, l’enfant prodige Xavier Dolan e il Premio Nobel Patrick Modiano. Abbiamo visto che Jennifer Lawrence, oltre a farsi qualche foto osè, sa anche cantare. Che i re dei social non sono solo dei ventenni ma anche degli entusiasti over 65 come Gianni Morandi o Giancarlo Magalli. Che il cinepanettone esiste anche senza Christian De Sica e che persino Pio e Amedeo possono arrivare al cinema (e ottenere buoni incassi). E che (grazie Salvatores) l’Italia sa fare i fantasy.

Ci siamo sorpresi.
Di tutte quelle foto rubate alle celebrità. Di come delle minacce possano cancellare l’uscita di un film: poi però il cinema è una forza superiore e The Interview riesce ad arrivare in 300 sale USA (a proposito, la scena della morte di Kim Jong-un è una delle più cult del 2014). Di come basti un fondoschiena – per quanto michelangiolesco – su un magazine per monopolizzare per mesi l’attenzione dei media e di come sia ormai così semplice innescare polemiche e di come, ancor più agevolmente, queste si espandano a macchia di social. Perciò è stato anche l’anno di Selvaggia Lucarelli, Francesco Sole, J-Ax, Morgan e Fedez.

Abbiamo contemplato.
Tanta bellezza. Dalle Meraviglie protagoniste a Cannes alla grande opera di Virzì, accompagnata da sterili polemiche. La simmetria di Wes Anderson e le magiche voci di Ed Sheeran e Sam Smith, simbolo della nuova generazione dei cantautori british. E ancora, l’energia vitale di Giusy Versace e l’inesauribile talento di Benigni. Fino al Made in Naples, che quest’anno, oltre a Sorrentino e Rocco Hunt, schiera un fenomeno assoluto come Gomorra – La Serie, coi suoi Genny Savastano e sta’ senza pensier’.

Appunto, le serie tv: sempre di più, sempre più belle. Ci vorrebbe una retrospettiva a parte. House of Cards, True Detective (tanti cuori per McConaughey) Fargo, The Knick, The Affair. Troppe in una sola annata. Prendetevi una vita e godetevele, tutte.

Abbiamo imparato.
Che Ryan Tedder (One Republic) è un meraviglioso autore di testi. Che Katy Perry è il riferimento pop attuale. Che se dici trio, pensi a Fabi-Silvestri-Gazzè. Che la distopia continua a piacerci tanto, che abbiamo ancora timore dei clown e delle bambole e che i Who, pur non essendo quelli del 1971, sono sempre i Who.

Abbiamo dato l’ultimo saluto ad alcuni grandi e ad altri grandissimi: da Philip Seymour a Robin, da Virna a Mango, da Gabo a Riccioli d’oro, passando per Faletti, Mazzacurati, Ramis, Wallach, Hoskins, Bernabucci, Fiorentini, Lilli Carati, Mike Nichols, Lauren Bacall e Joe Cocker.

Parafrasando il poeta portoghese Carlos Drummond de Andrade, è vero che la fine di un anno non coincide con la fine del tempo. Guardare indietro, però, serve anche per andare avanti.

E allora, fatti sotto 2015. Siamo pronti a raccontarti.

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