“Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.
Ti abbraccio teneramente.
Nino”.
Questa è la parte conclusiva della lettera che Antonio Gramsci scrisse alla madre il 10 maggio 1928, alla notizia dell’imminente trasferimento al carcere di Roma, in cui visse gli ultimi dieci anni della sua vita. In occasione del 25 aprile, pare opportuno rispolverare quelle che sono Le Lettere dal Carcere, opera fondamentale per venire a contatto col suo pensiero.
Pubblicate per la prima volta nel 1947, dalla casa editrice Einaudi, Le Lettere dal Carcere sono un’opera dal carattere filologico e contenutistico-testuale di grande rilievo. Scritte inizialmente per non essere pubblicate, ma rivolte solo ai propri familiari, come spesso si evince dai destinatari, Antonio Gramsci fa luce sulle condizioni drammatiche che il carcere gli impose.
In prima analisi, dando una semplice lettura ricognitiva, Le Lettere appaiono come il classico genere epistolare, in cui il protagonista cerca di comunicare con i propri amici e parenti. Infatti si nota in lui la voglia di continuare a sentirsi a casa, trovando, nella scrittura, un espediente per sentirsi lontano da quelle quattro mura carcerarie, cercando di essere il marito, padre e figlio amorevole di sempre, senza eccedere in sentimentalismi patetici.
Ma grazie a studi critici e letterari, in seconda analisi, Le Lettere dal Carcere appaiono, oltre che un semplice classico della memorialistica, una vera e propria opera letteraria. Basti pensare al fatto che c’è chi lo definisce un romanzo di formazione. Le Lettere hanno la forza di parlare da sole, al di là della cultura che un individuo possiede. È un’opera di per sé compiuta, intrisa di umanità e fondamentale anche da un punto di vista formativo, indispensabile per tutti coloro che, non solo vogliono conoscere la figura di un intellettuale, ma anche per chi, nei suoi studi, si sta avvicinando a tematiche sociali e politiche.
Scritte con uno stile chiarissimo, allusivo, in alcuni casi ironico, e anche ricco rimandi letterari, Gramsci ha la forza di aver insegnato alle generazioni cosa significa vivere e morire per le idee. Al lettore salta agli occhi la dignità di un uomo che ha accettato di essere perseguitato e non cambiare mai posizione. Tra l’altro, questo lo dice sempre nella lettera del 10 maggio 1928: “Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.”
Nelle Lettere dal Carcere traspare la figura di un uomo, con i suoi umori, le sue sofferenze, il suo carattere, i suoi ideali. E possiamo definirci fortunati nel vantare pensatori come lui.
In una giornata come quella che si avvicina, l’invito di leggere Antonio Gramsci è diretto, in modo da tener vivo il ricordo della nostra storia e di questo illustre pensatore.
Gramsci, a conclusione delle sue lettere, era solito avere sempre l’abitudine di adottare parole affettive, di quelle che toccano l’anima e il cuore di chi legge, sicuramente per assicurare il destinatario, come farebbe un figlio con la proprio madre, ma anche per far capire che, nonostante tutto, avesse la forza di andare avanti e di credere in un avvenire migliore.