Immaginate la riunione del cast di Lost, la fortunata serie tv americana, in occasione dei dieci anni dalla messa in onda prima puntata: Josh Holloway (Sawyer), Yunjin Kim (Sun), Jorge Garcia (Hurley), Ian Somerhalder (Boone) e Malcolm David seduti assieme a produttori e sceneggiatori sul prestigioso palco degli Oscar, il Dolby Theater di Hollywood per il Paleyfest, si lasciano tormentare dalle irriverenti domande dei fortunati giornalisti presenti in sala. Una tra tutte è quasi impossibile: spiegare al pubblico in trenta secondi la trama di Lost.
Il siparietto, però, non riesce ad allontanare dalla mente dei fans della serie tv i tanti interrogativi che il finale della quinta stagione hanno lasciato in sospeso: una tra tutte è l’autore dell’omicidio di Sawyer, così come la statua a forma di piede e la comparsa e la scomparsa di alcuni personaggi durante i sei capitoli della saga di fama mondiale. La metafora della serie è tutta incentrata sulla disputa tra fede e scienza, la prima obiettivo ultimo da raggiungere per potersi salvare, così come hanno fatto coloro che si sono salvati. L’isola, invece, è un vaso di Pandora che se scoperchiato dà origine a tutti i mali del mondo, non intesi solo come malvagità ma anche e soprattutto come distruzione.
Ciò che emerge agli occhi di chi ha seguito, appassionandosi, tutte le stagioni di Lost è che una serie del genere, record per ascolti e budget speso per il plot e per la trasposizione televisiva, non potrà mai trovare una degna sostituta.