Si conclude la terza stagione di True Detective, con un richiamo alla prima stagione e una chiusura che tiene col fiato sospeso fino all’ultimo episodio.
Possiamo dire che, ancora una volta, Nic Pizzolato ha colto nel segno, mostrando la via a decine si serie intrappolate in un format che chiede velocità e cliffhanger per funzionare.
La nuova stagione di True Detective, dopo un’eccezionale cambio di marcia con la seconda, riesce di nuovo a conquistare, a far riflettere, attacca e denuda il potere, per poi lasciarci spiazzati, ancora una volta di fronte a orrori che vanno in profondità.
I rapporti tra i personaggi, le vicende personali, le tensioni razziali, tutto si sposa in un amalgama meraviglioso dove ci sentiamo sempre sull’orlo dell’esoterismo e dove, ancora una volta il sovrannaturale irrompe in modo velato, quasi Pizzolato non volesse del tutto lasciare l’opera di Chambers e i miti del Re Giallo.
True Detective Stagione 3 è una delle migliori serie in circolazione.
Una lezione al patinato e abusato mondo Netflix e alla valanga di serie tv che puntano al mero intrattenimento e dimenticano quanto seria sia la questione, quanto si metta in gioco nel momento che si produce un film, una sceneggiatura, una serie.
Gli otto episodi non annoiano mai, nonostante un ritmo lento, riflessivo, che riflette a modo suo la condizione psicologica dei protagonisti, l’incedere nel corso degli anni delle indagini, e l’eterna caccia a un male inafferrabile che ancora una volta sembra sfuggire, come se il disegno non fosse chiuso. In una filastrocca che conosciamo ben troppo bene, le prove spariscono, il passato diventa torbido e difficile da sondare, i testimoni scompaiono, e non resta altro che una mezza verità, quella a cui ci si attacca sulle ultime note di una serie straordinaria, che si eleva dalla massa, per entrare nell’olimpo del genere.